Una sera di Agosto, in un altra vita, incrociammo le nostre rotte.
La notte era buia per entrambi, così come l’onda lunga atlantica e i bassi fondi.
La città era lì davanti a noi, invitante con tutte le sue luci, e dopo l’odore del sale percepivamo anche l’odore della sua terra.
La brezza trasportava dalla costa i rumori e il caldo del continente africano.
Navigavamo tra le navi alla fonda a bordo di un Westerly 37, un ketch che non capivi se beccheggiava o se rollava, con un segnale gps impreciso e dei riscontri visivi poco affidabili.
Ma soprattutto quello che vedevo non mi tornava: istinto e pignoleria.
Fu una di quelle poche, rarissime volte, quasi uniche, in cui dovetti impormi.
Non si entra, restiamo al largo, aspettiamo la luce del giorno e poi quando avremo capito bene dove è l’imboccatura del porto ….
Capisco che siete stanchi, capisco che questo salire e scendere su innocue onde di tre metri rende insopportabile lo stare in barca.
Capisco tutto ma certe cose non fanno parte solo della mia esperienza, sono frutto di racconti ascoltati e forse anche del mio patrimonio genetico.
Poi, per fortuna, vediamo delle luci che si spostano, sembra mezza città in movimento e in un attimo capiamo che è una nave passeggeri in uscita dal porto.
Una Costa in uscita, non so quale, che ci permette di vedere bene il punto dove termina la diga foranea e le boe del canale di uscita.
Il canale è leggermente obliquo rispetto alla costa e delle boe due su tre hanno la luce rotta.
Motore al massimo dei giri per non perdere i riferimenti che la nostra nave svela e via si entra e si ormeggia.
Purtroppo la mattina dopo apprendiamo che sul Ciaika IV hanno fatto scelte diverse…